Alda Merini Biografia di questa straordinaria poetessa e scrittrice.

Ogni grande personaggio ha una sua storia personale da raccontare e molte volte questa ha inciso molto nell’ambito della sua popolarità, soprattutto nell’ambito della letteratura e della poesia.
Ci sono poi persone che hanno una sorta di doloroso privilegio, quello di sentire la vita in modo molto più intenso degli altri, che però a volte è molto più simile ad una condanna in quanto una mente così sensibile può correre il rischio di rimanere schiacciata da cotanta sensibilità.

Alda Merini, la pazza poetessa, ne è uno dei più fulgidi esempi, una delle donne dell’Italia culturale che ha caratterizzato quasi tutto il secolo scorso e che è stata molto amata non solo per tutta la sua notevole produzione letteraria ma anche per le sue vicissitudini personali e per come è riuscita a superarle, finendo per essere una tra le persone più rispettate non solo d’Italia ma dell’intera Europa.

Vedi anche : Tutte le frasi, aforismi, citazioni di Aldamerini.

Alda Merini Biografia

Ripercorriamo insieme le tappe salienti di questa straordinaria poetessa e scrittrice.

Nascita e prima giovinezza

Nasce a Milano il 21 marzo 1931 ed è figlia di Nemo Merini, uno dei figli di una famosa famiglia nobile del Comasco, che viene diseredato per aver voluto sposare la contadina con cui aveva iniziato una relazione.

Con Emilia Painelli, questo il nome della contadina, formò una classica famiglia piccolo borghese, lui semplice impiegato delle Assicurazioni Generali, lei casalinga, che però aveva dei mezzi modesti.

Seconda di tre fratelli, Anna la maggiore ed Ezio il minore, Alda nei primi anni di scuola cominciò a far emergere il suo talento letterario anche grazie a suo padre che favorì in ogni modo l’interesse della figlia per la scrittura e la lettura, al contrario della madre Emilia che, ricordiamo, era di umili origini.

Essa, infatti, cercava inutilmente di proibirle la lettura in quanto, in linea con l’usanza dell’epoca e la sua esperienza familiare, avrebbe voluto che la figlia potesse essere solo una brava moglie e una mamma attenta e accurata, una efficiente casalinga che si occupasse a tempo pieno della sua famiglia.

Alda però era portata per lo scritto e a soli dieci anni riuscì a pubblicare una piccola raccolta delle sue poesie che sostanzialmente andavano a chiudere suo primo ciclo di studi alla scuola elementare, peraltro con ottimi voti.

Durante questo periodo Alda, sempre per iniziativa del padre che fece venire appositamente a casa un insegnante di pianoforte, si appassionò alla musica ma il tutto fu bruscamente bloccato dall’incedere del conflitto che mise in grossa difficoltà economica la famiglia.
Proprio per questo motivo Alda fu destinata ad una scuola professionale, la famosa Laura Solera Mangazza, specializzata in lavori femminili ma lei, seguendo anche la sua inclinazione, scelse di studiare stenografia per tre anni.

Subito dopo aver conseguito l’attestato di abilitazione, Alda subì un grosso colpo emotivo; si era alla fine del 1944 e la guerra era ormai arrivata anche a Milano, sia per terra che per aria e fu proprio un bombardamento a causare la distruzione completa della sua amata casa, lasciando la sua famiglia praticamente senza nulla.

Alda è stata quindi obbligata a lasciare la città e per i successivi tre anni ha vissuto come sfollata all’interno di un casale, che era dello zio della zia di Alda, situato vicino Vercelli e per i primi tempi stette sola insieme alla madre e al fratello minore che era appena nato perché il padre e la sorella grande rimasero a Milano a cercare gli altri parenti.
In quei tre anni andò a mondare il riso e a cercare qualcosa da mangiare per il fratellino a cui rimase sempre profondamente legata in quanto fu la sua ostetrica.

Le sue prime volte: i successi letterari e i problemi di salute

Tentò di essere ammessa al Liceo Manzoni, ma non fu respinta in quanto il suo punteggio al test d’ingresso risultò insufficiente soprattutto a causa, ironia della sorte, delle materie letterarie e del componimento; nonostante ciò Alda continuò a dedicarsi alla scrittura di poesie e alla fine di quell’anno, il 1947, alcune di queste furono trasmesse allo stimato critico letterario Giacinto Spagnoletti tramite Silvana Rovelli, una delle cugine della poetessa Ada Negri, e questi ne rimase profondamente colpito.

All’età di soli 16 anni Alda cominciò a frequentare il circolo letterario più rinomato del tempo in tutta Milano, dove poté incontrare importanti personaggi della poetica, della critica e della letteratura come ad esempio Giorgio Manganelli, Pier Paolo Pasolini (che scrisse anche due bellissime critiche su di lei nel 1954), Luciano Erba o Maria Corti; con il primo, insegnante di inglese, incominciò pure una sofferta (per lei) relazione amorosa durata quasi 5 anni che pare possa essere una delle ragioni scatenanti dei disturbi mentali che l’avrebbero accompagnata per tutta la vita.

Verso la fine di quell’anno, infatti, passa poco più di un mese ricoverata nella clinica Villa Turro a Milano dove le viene riconosciuta una sindrome da bipolarismo agli stadi iniziali, da cui riuscì a guarire, anche se non completamente, quasi mezzo secolo dopo.

Alda continua la sua relazione con Manganelli ancora per circa due anni fino a quando, per motivi di lavoro, non frequenta Salvatore Quasimodo; il loro rapporto, principalmente romantico e una sorta di sposalizio artistico, durò un paio d’anni fino a quando, contemporaneamente a quello che Alda ebbe con il futuro marito, Ettore Carniti, che sposerà dopo quattro anni di frequentazione nel 1953.

In quel momento Alda è già una poetessa famosa, grazie prima alla diffusione nel 1950 delle sue poesie, Luce e il Gobbo all’interno dell’antologia “Poesia italiana contemporanea 1909-1949” che Spagnoletti pubblicò alla fine di quell’anno, (cosa che interessò lettori del calibro di Montale, Pasolini e lo stesso Quasimodo), e successivamente nell’antologia Poetesse del ‘900 dell’editore Vanni Scheiwiller che fu pubblicata nel 1951; si narra che l’editore, che divenne nel tempo uno dei più grandi amici e sostenitori della Merini, non fosse all’inizio molto convinto e che fu sollecitato proprio da Eugenio Montale a inserire delle poesie della Merini all’interno dell’antologia.

Il matrimonio e la prima fama nazionale

Siamo nel 1953 ed è un anno importante nella vita di Alda; essa infatti convola a nozze con Ettore Carniti; insieme riescono ad aprire non senza difficoltà una piccola panetteria o, per utilizzare le sue parole, una piccola rivendita di pane e dolci, ma che ben presto si afferma in tutta la città di Milano.
Il marito era lo zio di Pierre Carniti, noto sindacalista e uomo politico di fine secolo e Alda oltre a fare la fornaretta, così la chiamavano affettuosamente, riuscì anche a completare il primo dei suoi lavori, ”La presenza di Orfeo” e nello stesso anno ne riesce ad effettuare la pubblicazione.

Due anni dopo, nel 1955, altra doppia soddisfazione per la Merini: la nascita della prima figlia Emanuela (da tutti chiamata però Manuela), e le pubblicazioni di tre suoi nuovi libri: il primo, Paura di Dio (edizione Scheiwiller), è la raccolta che contiene tutte le poesie che Alda scrisse nel suo primo periodo dal 1947 al 1953, mentre ”Nozze romane” (edito da Swartz) e ”La pazza della porta accanto” (edito da Bompiani) sono invece dei lavori completamente nuovi.

Contemporaneamente, però, si ricominciano a farsi avanti i suoi disturbi e una delle cause iniziali fu l’invaghimento che Alda ebbe nei confronti del pediatra della bambina, il dott. Pietro di Pasquale; questi, pur accorgendosi dell’interesse amoroso che la donna nutriva nei suoi confronti, non lo corrispose mai e tenne sempre un rapporto cordiale ma professionale con tutta la famiglia tant’è che nel 1958, quando nacque la seconda figlia Flavia, il medico fu il pediatra anche di quest’ultima.

Alda, per riconoscenza, gli dedicò nel 1961 la sua nuova pubblicazione intitolata ”Tu sei Pietro” edita sempre da Scheiwiller.

Incomincia però il periodo più turbolento e buio della vita di Alda Merini, iniziato proprio con la nascita di Flavia; Alda infatti viene colpita quasi subito da una depressione post partum che gettò le basi per quello che lei stessa definì il suo tunnel personale da cui riuscì ad uscire definitivamente una trentina di anni dopo.

Il periodo buio

All’inizio degli anni ’60 Alda, come ebbe a descrivere in un’intervista, si sentiva una sposa e una madre felice, anche se non completamente per via dei problemi che aveva con il marito, e sembrava anche che fosse donna realizzata per via della straordinaria notorietà che aveva avuto con le sue pubblicazioni.

Il suo animo, però, era ancora in attesa che apparisse qualcosa di veramente bello (e questo le causava del disagio), e pur definendolo come semplice e pulito lo considerava come incompleto.

Tale malessere, che si manifestava facendola sentire sempre estremamente stanca e con un continuo intorpidimento della mente, Alda cercò di comunicarlo al marito ma questi non comprese che la moglie si stava addentrando, anche a causa sua, in un tunnel depressivo da cui non sarebbe mai più uscita completamente.

Questo stato si acuì nel momento in cui morì la madre, alla quale Alda era legata da un rapporto particolare e suo fondamentale punto di riferimento e appoggio, e le cose cominciarono ad andare di male in peggio, fino al momento in cui in una giornata del 1965, forse innervosita dal contemporaneo grande lavoro e dai continui stenti, Alda fu presa da quelli che lei definiva ”i fumi del male”.
Ebbe infatti una grossa crisi nervosa e in quel preciso momento fuoriuscirono tutte quelle incomprensioni che erano presenti ma latenti nel suo matrimonio; il marito, infatti, sin dall’inizio era rimasto un po’ spiazzato da Alda non sapendo né che lei fosse una scrittrice, né che cosa fosse la poesia, aspettandosi quindi un altro tipo di donna.

Egli, una notte rientrò dopo una serata di bevute con gli amici e Alda lo aspettò alzata; avendo saputo che il marito aveva ancora una volta sperperato il loro denaro diede in violente escandescenze.
Il marito non sapeva cosa fare e non solo non riuscì a calmarla come al solito ma, anzi, si vide costretto a chiamare ben due ambulanze, una per lui (lei gli aveva tirato contro una pesante sedia colpendolo in pieno) e una per lei in modo da farla calmare, non sapendo però che avrebbero portato la moglie in manicomio dove Alda credette letteralmente di impazzire, iniziando così quel lungo periodo di buio e vuoto che, fondamentalmente, si portò sempre dietro con sé non concludendosi realmente mai più.

Alda rimase internata nell’Ospedale Psichiatrico intitolato a Paolo Pini per sette lunghi anni fino al 1972, anche se non continuamente in quanto passò alcuni brevi periodi di tempo con tutta la famiglia ad altri in cui fu nuovamente ricoverata in reparto; da questi momenti di rientro alla normalità casalinga nacquero le altre sue due figlie, Simona e Barbara, che per i primi anni della loro vita furono anch’esse affidate però ad altre famiglie.

Il rientro in famiglia e il nuovo matrimonio

Il suo rientro a casa definitivo avviene nel 1979 il marito la accoglie come se fosse andata via per un paio di giorni per un convegno e Alda trova una situazione notevolmente diversa; la panetteria, che lei stessa aveva contribuito a mettere su, era stata venduta, il marito aveva cambiato lavoro ma in compenso ritrovò tutte le sue figlie e l’unione della sua famiglia che non avrebbe mai più perso.

Da un punto di vista sanitario Alda stava molto meglio e, complice anche questa nuova armonia familiare, gli anni seguenti furono tra i più belli della sua vita ma, nonostante ciò, non riuscì a scrivere assolutamente nulla.

La sua produzione, infatti ricominciò solo alla fine del 1979 e i suoi lavori erano carichi della sua dolorosa e, in certi momenti, anche molto drammatica esperienza provata nall’interno dell’ospedale psichiatrico.

Nonostante il suo nome fosse ancora conosciuto, i tanti anni di assenza dal circuito letterario di Milano ebbero come conseguenza l’enorme difficoltà di trovare un editore che divulgasse i suoi lavori.

Questo accade nel 1982 quando la rivista “Il cavallo di Troia” grazie all’intervento della famosa critica letteraria Maria Corti, pubblicò trenta dei suoi scritti che possono essere considerati come la fase iniziale del suo prossimo libro.

L’anno successivo, e siamo quindi nel 1983, è per Alda un momento misto di dolore e gioia; muore infatti il marito e Alda a causa delle ristrettezze economiche è costretta a trasferirsi all’interno di una semplice stanza nella casa di un pittore suo amico.

Per sentire meno il peso della scomparsa del consorte, a cui Alda era comunque fortissimamente legata, comincia un carteggio epistolare con il medico-poeta Michele Pierri, molto più anziano di lei (avevano quasi trent’anni di differenza); nonostante questo i due instaurarono un legame che si fece sempre più forte fino a quando decisero, nello stesso anno, di sposarsi esclusivamente con il rito religioso e la Merini si trasferì a Taranto andando ad abitare nella casa di lui.

Le forti emozioni causate dalla perdita del marito, però, unite anche all’aggravarsi delle condizioni di salute del Pierri e dalla guerra che i figli di lui fecero sin dall’inizio alla Merini, fecero riaffiorare quei disturbi che Alda pensava di aver messo definitivamente alle spalle, quasi come quelli di cui sofferse anni prima quando le morì la cara mamma.

In questo caso, però fu la stessa Merini a decidere di entrare nell’istituto psichiatrico della città di Taranto per curare quello stato depressivo che le stava nuovamente riaffiorando e per un breve periodo di tempo ella fu nuovamente in cura presso questo tipo di struttura.

Uscì pochi mesi dopo e nel 1984, grazie al suo editore storico Vanni Scheiwiller, riuscì a far uscire il suo nuovo libro Terra Santa.

L’inizio di una nuova vita

Dopo un paio d’anni Alda decise di lasciare Taranto anche a causa della morte del medico Michele Pierri trasferendosi nuovamente a Milano; quì decise di continuare a curarsi venne seguita costantemente dalla dottoressa Marcella Rizzo, una psichiatra alla quale intitolò alcuni dei suoi nuovi testi.

Grazie a questo medico che divenne anche una delle sue più grandi amiche, essa riuscì finalmente a raggiungere quasi una vera serenità e in questo modo poté non solo ricucire gli antichi rapporti di amicizia, tra cui quello fondamentale con il vecchio editore Vanni Scheiwiller, ma anche a vivere in modo autonomo nel proprio appartamento situato sui Navigli di Milano in Ripa di Porta Ticinese al numero 47.

Alda considerava questa casa il suo secondo guscio, non se ne separò mai tranne che nel periodo in cui lei ebbe a disposizione una somma veramente considerevole per l’epoca.
Avvenne quando vinse nel 1993 il premio Librex-Guggenheim/Eugenio Montale e si ritrovò a disposizione la ragguardevole cifra di 36 milioni di lire.

Alda chiuse a chiave la sua dimora in Ripa di Porta Ticinese 47 e si trasferì armi e bagagli all’hotel Certosa, in cui visse fino a quando non finì tutti i soldi del premio, in buona parte spesi anche per comprare dei peluche agli amici oppure donati ai vari barboni che incrociava continuamente lungo la strada.

Riuscì anche grazie a questo suo nido a stare definitivamente fuori dagli istituti psichiatrici ma soprattutto dalla depressione che l’aveva così duramente colpita nel corso della sua esistenza, ritrovando in questo modo quell’equilibrio che aveva smarrito tanto tempo prima.

Questo appartamento, però, era anche l’immagine reale del controverso rapporto che Alda aveva con la sua mente e con la consuetudine; i muri erano pieni di scritte, specialmente indirizzi (era una sorta di rubrica-agenda che ora si trova nel museo a ei intitolato), ma la particolarità (per così dire) dell’appartamento era che i due locali che lo formavano potevano dirsi quasi inabitabili e anche da un punto di vista igienico erano molto lasciati a loro stessi.

Chi entrava, infatti, li trovava pieni di vecchi oggetti messi alla rinfusa, carte, cartacce, riviste e faldoni dappertutto, portacenere pieni perché non venivano mai svuotati (con conseguente presenza pure di numerose cicche per terra), bottiglie di vino e di liquore vuote o semipiene, bicchieri con ancora del vino vecchio al loro interno.

All’ordine immagginario dell’appartamento non giovava neanche le particolari frequentazioni che abitualmente avvenivano al suo interno, di artisti vagabondi, barboni o squattrinati totali che le andavano a fare visita, ma soprattutto quella praticamente stanziale di Titano.

Titano era un clochard che passava molto del suo tempo ai navigli, molto vicino alla casa di Alda Merini; questa, come abbiamo visto, era sempre molto generosa con i barboni, a cui donava soldi, vestiti o dava loro qualcosa da mangiare.
Più di una volta Titano ed Alba si incontrarono e quest’ultima cominciò a nutrire un interesse particolare per quello strano vagabondo fino a quando l’interesse si trasformò prima in invaghimento e poi in un amore passionale e travolgente.

In più di un’occasione la poetessa disse che questo era un sentimento quasi disperato, folle come gran parte della sua vita; avevano una loro vita diversa e separata: lui vagabondando durante tutta la giornata per panchine lungo i navigli, lei a cercare l’ispirazione per i suoi lavori, ma la sera Titano tornava nella casa di Alda, che considerava il suo rifugio.
Al suo rientro si faceva il bagno (anzi, il più delle volte glielo faceva proprio Alda che ricordava quanto diventasse nera di terra e di smog l’acqua nella vasca) e stavano insieme fino alla mattina successiva quando tornavano ognuno alle proprie ”occupazioni’’.

Questa storia tra Titano e la Merini durò poco più di cinque anni a cavallo dei primi anni novanta e oltre ad essere molto profonda (a Titano Alda intitolò uno dei suoi lavori, Titano amori intorno) fu un vero e proprio toccasana per la poetessa, che riprese in pieno la sua attività di scrittura mantenendola praticamente inalterata per i successivi venti anni.

Il suo periodo produttivo

Dal suo rientro a Milano nel 1986, i successivi vent’anni furono molto floridi sia da un punto di vista letterario che personale; Alda infatti, riuscì a pubblicare una media di un libro all’anno che potesse essere di poesie o di prosa.

Il suo periodo più florido inizia nel 1986 quando Scheiwiller, il suo editore di fiducia dagli esordi che non l’ha mai abbandonata, pubblica la sua autobiografia intitolata:” L’altra verità: diario di una diversa”.

Nel corso degli anni seguenti Alda Merini pubblica tra l’altro le seguenti opere:

– 1987, “Fogli bianchi”
– 1988, ”Testamento”
– 1989, “Delirio amoroso”
– 1990, “Il tormento delle figure” .
– 1991, due nuovi lavori: ”Vuoto d’amore’’, pubblicazione a cura di Maria Corti e “Le parole di Alda Merini”.
– 1992 / 1996
In questo periodo vengono editi svariati altri libri di Alda Merini; tra i più famosi abbiamo:
– “La Palude di Manganelli
– ”Ipotenusa d’amore
– “La presenza di Orfeo”
– ‘‘Il Monarca del re
– “Titano amori intorno
– “Ballate non pagate
– ”Reato di vita
– “La pazza della porta accanto

Dal 1996 al 2008, l’anno precedente alla sua scomparsa, Alda continuò a comporre poesie ed elaborare racconti fino a quando il tumore non fu più forte e non riuscì più a scrivere.

In questo periodo furono pubblicate le seguenti opere:

– 2000, scrive due nuovi libri in cui vengono raccolti i suoi testi: “L’anima innamorata” e ”Superba è la Notte’’

– 2003, le pubblicazioni diventano tre: ”Magnificat’’, il cofanetto intitolato “Folle, folle, folle, folle d’amore per te” (questa edizione è quella con l’introduzione di Roberto Vecchioni, la prima edizione è della fine dell’anno precedente) e ”Un incontro con Maria’’

– 2004, ”Poema della croce’’

– 2005, altro trittico di pubblicazioni: “Sono nata il ventuno a primavera”, ”Uomini miei’’ e “Diario e nuove poesie”

– 2006, scrive ”La vera novella’’

– 2008, pubblica ”Lettere a Dottor G

Negli anni che vanno dal 2001 al 2008 fu molto intensa anche la produzione di lavori di aforismi che fu pubblicata da un piccolo editore, casa editrice Pulcino Elefante.

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La definitiva consacrazione come poetessa e scrittrice

La consacrazione di Alda Merini avvenne nel 1993 quando riuscì a ricevere l’autorevole Premio Librex-Guggenheim/Eugenio Montale grazie a quello che viene da tutti considerato il suo vero capolavoro, “La terra Santa”, diventando così una scrittrice e poetessa applaudita, ossequiata e onorata.

Nel 1996 vinse un altro importante premio, il Premio Viareggio, e in quell’anno ebbe anche una grandissima soddisfazione personale in quanto fu pure immessa nella lista dei candidati per il Premio Nobel della letteratura, venendo nominata dalla prestigiosa Accademia di Francia.

Dai primi anni dell’ultimo decennio del XX secolo, Alda la poetessa pazza ebbe disparate collaborazioni artistiche diverse e beneficiò di una grande popolarità per tutta una serie di fattori come ad esmpio alcune visite al Maurizio Costanzo Show che la fecero conoscere anche a coloro che non seguivano il suo genere letterario.
Alla sua popolarità contribuì pure il fatto che svariati suoi testi sono diventate delle canzoni (”La Voce” e ”Canzone per Alda Merini’’) oppure i vari duetti che Alda fece in televisione o nei teatri insieme ad attori famosi, come ad esempio il grande Vittorio Gassmann, con i quali recita alcune delle sue più famose poesie.

Le pubblicazioni di alcuni suoi libri furono decorate e impreziosite da disegni e fu chiamata da diversi registi televisivi e cinematografici per poter realizzare una serie di film o documentari sulla sua vita.

Nel 1997 Alda ebbe un altro riconoscimento vincendo il Premio Procida-Elsa Morante ma fu nel 2001 che ebbe l’ultima sua grande soddisfazione, essendo nuovamente candidata dall’Accademia di Francia per il Premio Nobel per la letteratura.

La malattia e la morte di Alda Merini

Alda Merini si spense all’età di 78 anni a Milano, la città che le aveva dato i natali, il primo novembre 2009 a causa di un tumore alle ossa che le era stato diagnosticato qualche anno indietro e che l’aveva portata nella condizione prima di non poter più tenere una penna in mano, ragione per cui un suo caro amico fece un appello per le condizioni della poetessa, e poi di non avere più quella serenità mentale a causa dei dolori lancinanti che accompagnarono i suoi ultimi mesi.

Superò comunque brillantemente tutta la fase iniziale, avendo avuto esperienze ben più traumatiche, e sintetizzò a suo modo non solo il periodo della malattia fisica, ma anche la sua esistenza in generale con una frase rimasta famosa in cui diceva di aver goduto la vita in quanto le piaceva l’inferno della vita anche se la vita stessa non è altro, il più delle volte,che un vero e proprio inferno.

Ora le sue spoglie riposano finalmente in pace nel Cimitero Monumentale della sua città, all’interno della cripta del Famedio.

Il rapporto di Alda Merini con la vita

Da tutti gli scritti pubblicati da Alda traspare un forte attaccamento alla vita di cui nutriva un profondo e sincero rispetto.
Fu però con la pubblicazione degli Aforismi da lei coniati che è stato possibile capire realmente la donna Alda Merini, i suoi pensieri e le sue considerazioni, lucide e schiette, sul mondo che le gravitava intorno.

In uno di questi pregava di non avere mai accanto accanto delle persone che si lamentano senza che possano alzare il loro sguardo, che non sanno più dire grazie, oppure che non sanno accorgersi della bellezza di un tramonto.
Lei, Alda la poetessa matta, in questi casi chiudeva gli occhi e si allontanava di un passo.
Lei era altro. Lei era altrove.

Molta di questa sensibilità era il risultato dei vari dei ricoveri effettuati in gioventù, grazie ai quali però riuscì a sviluppare un’emotività diversa che le ha sempre consentito di guardare gli uomini e le cose sotto un’ottica differente rispetto alla quasi totalità delle altre persone.

Di tutto il suo periodo vissuto nelle strutture psichiatriche, però, Alda conservava un ricordo profondo, momenti che le consentirono un’analisi spietata ma veritiera di quello che era la vita, di quello che essa le aveva fatto passare e dove nacquero anche le sue amicizie più vere ma, soprattutto, più sincere.

Diceva, a chi le chiedeva qualcosa di queste sue esperienze, di essere stata una matta in mezzo ai matti e che questi ultimi erano si pazzi nel profondo, ma taluni avevano anche una intelligenza al di fuori del comune.
Riteneva infatti che i matti sostanzialmente fossero delle persone simpatiche, non come i dementi, i quali erano invece quelli che stavano dall’altra parte di quel muro divisorio che li poneva fuori nel mondo, lontani anni luce da quella strana realtà.
I dementi, disse di averli incontrati dopo che era uscita non solo fisicamente dalle strutture, ma anche dalla malattia con cui aveva passato gran parte della sua vita.

Alda pensava che della vita rimanessero non tanto le cose materiali, ma quanto tutte le memorie dei ricordi dei vari istanti che si sono vissuti e che hanno contribuito a far sentire felice una persona; diceva infatti che la ricchezza di ognuno non è blindata dentro una cassaforte, ma all’interno della propria mente e ciò che rimane veramente sono le emozioni che sono state provate all’interno della propria anima.

Affermava infatti che la vendetta migliore fosse quella sia di essere che di dimostrare di essere felici in quanto sosteneva che una delle ragioni per cui esistevano invidie e rancori fosse l’impazzimento della gente nel vedere qualcuno che raggiungeva la felicità.

Nonostante le sue vicende personali che l’hanno accompagnata in diversi momenti della sua vita, Alda Merini guardava quindi alla vita con rispetto e, sostanzialmente, con gioia sostenendo che per lei era stata bella in quanto l’aveva sempre pagata caramente.

Questa donna così fragile ma al contempo così straordinariamente forte ci ha lasciato degli insegnamenti profondi che vanno a toccare corde sensibili di ogni animo umano e su cui bisognerebbe soffermarci a riflettere.

Il rapporto con le figlie

Alda e le figlie, nonostante abbiano avuto un rapporto molto travagliato a causa delle trraversie causata dai vari periodi di ricovero più o meno lunghi nelle strutture sanitarie, sono state sempre molto legate da un amore profondo che andò sempre oltre le mille difficoltà che dovettero superare.

Le due maggiori Flavia, e la sorella più grande Emanuela, vissero nella casa insieme ai genitori fino a quando avvenne la furiosa lite che mandò entrambi i coniugi all’ospedale, quello normale per lui e quello psichiatrico per lei.

Le figlie vennero prima mandate in un Istituto e poco dopo tempo, Emanuela tornò a vivere con il padre fino a quando non convolerà a nozze all’età di 15 anni, mentre la seconda Flavia andò a vivere nella famiglia di uno ”zio” a Torino fino alla metà degli anni ’70.

Il grande legame che è esistito tra Alda Merini e le sue figlie, è tutto racchiuso un una frase che Alda pronunciò durante un’intervista e che, in diverse occasioni e modi, ripeteva continuamente:

“Ho avuto quattro figlie. Allevate poi da altre famiglie.

Non so neppure come ho trovato il tempo per farle.
Si chiamano Emanuela, Barbara, Flavia e Simonetta.

A loro raccomando sempre di non dire che sono figlie della poetessa Alda Merini.
Quella pazza.

Rispondono che io sono la loro mamma e basta, che non si vergognano di me.”

Alda rimase sempre commossa da questo attaccamento così profondo che le figlie le dimostrarono sempre durante tutta la sua vita, anche se il suo amore nei loro confronti è sempre stato un mezzo passo indietro rispetto a quello che Alda stessa considerava il suo unico e grande amore: la poesia.

Grazie ad essa, però, riuscì lo stesso a trasmettere una grande quantità di amore alle sue figlie, come esse stesse riconoscono e affermano anche sul sito che hanno voluto dedicare alla madre.

La poetica di Alda Merini

La poetica che si riscontra in tutte le opere di Alda Merini è sempre schietta, diretta e assoluta; parla in modo sincero e si prende la rivincita su tutte quelle sventure che hanno segnato la sua esistenza.

La poesia è stata per Alda un vero e proprio toccasana grazie al quale ha potuto resistere e mediante le rime delle sue poesie si è permessa di far sbattere l’ipocrito viso della gente sulla cruda realtà dei reietti e degli emarginati a causa del loro disagio sociale, persone di cui era diventata una sorta di portavoce universale.

Scrive per e in rapporto agli altri ma più che altro scrive per se stessa e per una causa che fondamentalmente le sta a cuore ovvero l’umanità e la difesa dell’uomo inteso come singolo individuo, cantando tanto l’Amore pur non avendolo quasi mai ricevuto come si sarebbe potuta aspettare e che avrebbe desiderato diverso da quello che in realtà è stato.

Scrisse il Magnificat pensando all’obbedienza di Maria e non ebbe mai nessuna esitazione a esprimere le sue idee riguardo alla visibile e tangibile mancanza di regole all’interno del Paese, paragonando l’Italia di allora deficitaria in questo senso rispetto a quella del fascismo in cui lei era cresciuta.

Nei suoi scritti traspare sempre la sua esperienza di vita trasformando quelle che sono state delle pesanti croci in vere e proprie delizie che attraverso la sua arte poetica fa viaggiare all’infinito la sua genialità e la sua sensibilità.

Questo Alda Merini lo fa grazie ad uno stile limpido, asciutto e molto preciso con cui riflette su tutto ciò che la circonda, sul mondo che la avvolge e la permea sia esteriormente che interiormente.

Per Alda Merini la Poesia è tutto: è difesa, un solido scudo dietro cui proteggere quell’animo ribelle ma estremamente sensibile, ma al contempo è anche la sua formidabile arma con cui poter esprimere ciò che non si può o non si vuole esprimere, con la quale riesce quindi a difendere la propria dignità, custodendo gelosamente la propria umanità, senza dover per forza dimenticare la propria sensibilità.

La poesia è stata la migliore medicina per la sua anima, l’ancora che fa restare salda la barca dell’esistenza quando si trova in mezzo al mare in piena tempesta, la fonte di equilibrio nel pieno e consapevole disequilibrio, mezzo per la propria e altrui redenzione e la susseguente possibile salvezza.

Questo pensiero viene espresso nei vari lavori pubblicati grazie anche al grande uso che la Merini fa delle figure ossimoriche e che riesce rendere la sua poesia geniale e particolare, dove magari si desidera la morte ma si cerca contemporaneamente di rimanere attaccati il più possibile alla vita oppure si è totalmente disinibiti ma al contempo il sentimento provato è quello di un religioso e, qualche volta, casto pudore.

Per tutto questo, e per molto altro, Alda Merini la piccola ape furibonda come amava definirsi, è un personaggio che può definirsi assolutamente unico nella letteratura ma più in generale, nella cultura italiana e, forse purtroppo, difficilmente ripetibile.